LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO

La teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969/1980; Cassidy e Schaver, 2008) afferma che ogni essere umano
abbia una predisposizione innata e primaria a richiedere aiuto, conforto e protezione ad una persona per
lui significativa. Il termine attaccamento può essere riferito a quattro aspetti diversi: il legame di
attaccamento, il sistema di attaccamento, la relazione di attaccamento e il comportamento di
attaccamento (Zeanah, 1993; Zeanah e Smike, 2009):
– il legame di attaccamento si riferisce all’aspetto di affiliazione tra gli individui coinvolti in una relazione
significativa, e più comunemente esso si riferisce al sentimento di affiliazione tra figli e genitori;
– il sistema di attaccamento riguarda la sfera dell’esplorazione dell’infante. Esso ha uno scopo “esterno” e
cioè quello di motivare il bambino a richiedere prossimità alla figura di attaccamento ed uno scopo
“interno” che permette al bambino di vivere la sicurezza data dal caregiver. Il sistema di attaccamento
dunque consente al bambino di utilizzare la propria figura di riferimento come base sicura con cui e da cui
può esplorare nuovi ambienti e nuove situazioni (Ainsworth, 1967);
– la relazione di attaccamento rappresenta il dominio della relazione genitore- bambino che riguarda gli
aspetti di nutrimento e la capacità genitoriale di fornire aiuto e supporto emotivo al bambino qualora
quest’ ultimo lo richieda e ogni qualvolta si riveli essere necessario;
– il comportamento di attaccamento è espresso tramite segnali inviati dal bambino alla figura di riferimento
(sorrisi, vocalizzazioni o pianto) o attraverso comportamenti manifesti, quali camminare verso il caregiver o
ricercare il contatto fisico, che promuovono una prossimità fisica ed affettiva verso la figura di
attaccamento. Dalla nascita ai tre mesi, l’infante non ha ancora acquisito la capacità discriminatoria rispetto
ad una figura di attaccamento, mentre tra i tre ed i sei mesi la fase di discriminazione ha inizio anche se non
viene ancora espressa una preferenza rispetto ad una figura di attaccamento (Zeanah, 1993). Questo
passaggio avviene verso gli otto mesi e fino ai tre anni il bambino si trova in una fase in cui predilige e
richiede la prossimità ed il contatto con il caregiver. Al terzo anno di età, il bambino comincia ad inferire i
piani comportamentali della figura di attaccamento e comincia ad interiorizzare i propri modelli, in risposta
a tali comportamenti (Bowlby, 1969/1980).
La scelta della figura di attaccamento principale viene dunque effettuata dal bambino nel corso del tempo,
ma si riferisce ad un solo caregiver. Ciò non significa che il bambino non instauri più legami di
attaccamento, ma che strutturi una gerarchia dell’attaccamento (Colin, 1996) a seconda de:
1. quanto tempo il bambino trascorre con ciascuna figura di attaccamento;
2. la qualità delle cure che ognuna di queste figure offre;
3. l’investimento emozionale sul bambino di ognuna delle figure;
4. i segnali sociali;
5. la presenza ripetuta nel tempo della figura d’attaccamento (Cassidy, 2008).
La monotropia dell’attaccamento si è sviluppata come una tendenza del piccolo della specie umana e tale
tendenza contribuisce alla sopravvivenza del bambino. Né Bowlby né Ainsworth hanno affrontato questo
problema. Così Cassidy (2008), nella seconda edizione del manuale dell’attaccamento avanza tre possibili
ipotesi per spiegare il monotropismo dell’attaccamento dei bambini:
1. la preferenza del bambino verso una figura principale potrebbe contribuire al formarsi di una relazione in
cui la figura scelta dal bambino si assuma la responsabilità nei suoi riguardi, aumentando così la probabilità
di sopravvivenza del bambino;
2. laddove il bambino debba affrontare un pericolo, egli può rispondere velocemente ed automaticamente
per cercare la propria figura di riferimento, senza effettuare diverse valutazioni e giudizi su chi potrebbe
aiutarlo;
3. il contributo del bambino al “legame gerarchico reciproco” dove egli fa corrispondere una gerarchia di
attaccamento ad una gerarchia di accudimento nel suo ambiente.
Seguendo il ragionamento di biologi evoluzionisti, i quali suggeriscono che gli adulti hanno un diverso
investimento sui figli in funzione di quanto tale investimento contribuisce alla trasmissione dei geni
dell’adulto, dovrebbe allora essere più adattivo per il bambino usare come figura principale la persona che
gli è più fortemente legata- quella che fornisce il maggiore investimento e chi ha più da guadagnare dallo
sviluppo sano del bambino. Nella maggior parte dei casi è la madre biologica ad avere il maggiore
investimento biologico sul bambino, ad esclusione di un gemello omoziogote. Anche se il padre biologico ed
i fratelli condividono il 50% dei geni con il bambino, la madre ha un maggiore investimento rispetto a questi
ultimi poiché solo lei può essere certa di una reale connessione biologica, ha minori opportunità di avere
altra prole e dedica il proprio corpo e le proprie risorse biologiche per i 9 mesi della gestazione e, durante
l’allattamento, per un ulteriore periodo di tempo.
Ad un anno di età, il comportamento di attaccamento è dunque ben organizzato e la relazione di
attaccamento può essere identificata in maniera stabile e può allora essere valutata (Zeanah, 1993). La
procedura attraverso cui è possibile classificare i diversi tipi di attaccamento è la Strange Situation
Procedure –SSP (Ainsworth, Blehar, Waters, e Wall, 1978): si tratta di una procedura standardizzata di
laboratorio originariamente costruita con l’intento di esaminare l’equilibrio tra comportamenti di
attaccamento e di esplorazione, in condizioni di bassa e alta tensione emotiva in bambini di un anno di età.
È un dramma in miniatura della durata di venti minuti, costituito da otto episodi in cui la figura di
attaccamento (solitamente la madre) si separa dal figlio per due volte e questo rimane con un estraneo e
diversi giochi adatti alla sua età. Da molto tempo, numerose ricerche (Waters e Bretherton, 1985; Lamb,
Thompson, Gardner e Charnov, 1985; Sroufle e Cooper 1988; Sroufle e Fleeson, 1988) hanno dimostrato
che questa procedura attiva il sistema di attaccamento nei bambini. Il comportamento dei diversi bambini
nella SSP è stato inizialmente classificato in tre categorie: Sicuro (B), insicuro-Evitante (A) e insicuro-
Ambivalente (C). Successivamente è stata definita una quarta categoria, denominata
Disorganizzato/Disorientato (D), nella quale è stato possibile includere i bambini che non mostravano
attaccamento di tipo A, B o C:
1. attaccamento sicuro (B): i bambini classificati come sicuri, piangono o possono non piangere durante la
separazione, ma hanno un approccio diretto con il caregiver e ristabiliscono un’interazione positiva durante
il momento della riunione; se tristi, possono essere facilmente confortati dalla figura di attaccamento
durante la riunione, per riprendere poi l’esplorazione e il gioco in maniera tranquilla e confortevole.
2. attaccamento insicuro evitante (A): i bambini classificati come insicuri- evitanti tendono a non protestare
al momento della separazione ed ignorano il caregiver quando questo rientra nella stanza: i bambini
insicuri- ambivalenti rimangono spesso focalizzati sul gioco o comunque sull’ambiente esterno. Questi
bambini sembrano aver interiorizzato l’idea di dover reprimere manifestazioni esternalizzanti rispetto al
distress per non dover elicitare reazioni future (Cassidy e Kobak, 1988);
3. attaccamento ambivalente (C): i bambini ambivalenti mostrano un notevole distress (espresso mediante
forte e continuo pianto) nel momento della separazione e durante la riunione con le figure di
attaccamento. Questi bambini hanno dunque la percezione della figura di attaccamento come una persona
non in grado di essere una base sicura affidabile (Ainsworth et al., 1978; Sroufle et al., 1988);
4. attaccamento disorganizzato (D): mentre i suddetti stili di attaccamento prevedono delle strategie
organizzate rispetto all’attaccamento verso i caregivers, questo ultimo stile si contraddistingue per
l’assenza di qualsiasi tipo di strategia. I bambini appaiono confusi, mettono in atto movimenti interrotti,
indiretti o mal diretti: un movimento di ricongiungimento può essere interrotto a metà da una esplosione di
rabbia (ad esempio verso un giocattolo o verso il pavimento). Altri bambini interrompono il movimento
terminando in una posizione definita stilling, in cui restano immobili per diversi secondi in una posizione
che richiede uno sforzo contro la forza di gravità, o di freezing in cui restano immobili per diversi secondi.
La teoria dell’attaccamento ha inoltre evidenziato come la qualità del legame di attaccamento genitore-
bambino venga incorporata in Modelli Operativi Interni (MOI) attraverso l’organizzazione delle strutture di
memoria e di significato in cui è racchiusa l’esperienza delle risposte alle richieste di aiuto, conforto e
protezione (Liotti, 1999; 2000). Lo specifico pattern che si sviluppa all’interno di questa relazione si traduce
in una rappresentazione di sé e dell’altro, e guida il comportamento di attaccamento (Bowlby, 1988;
Bretherton, 1990) forgiando il bambino di coordinate per relazionarsi con il mondo esterno, e di aspettative
nei confronti degli altri per lui significativi. I MOI si vengono a costruire a partire dal primo anno di età, sulla
base delle esperienze vissute dal bambino rispetto l’accudimento ricevuto dalla propria figura di
attaccamento (Bowlby, 1969). Questi precoci pattern comportamentali (Modelli Operativi Interni- MOI),
sono in grado di influenzare la capacità di regolazione emotiva del bambino (Ann Easterbrooks, Biesecker, e
Lyons-Ruth, 2000; Siegel, 1999; Bradley, 2000).
Anche se i MOI, una volta formatisi, operano in maniera inconscia e presentano una determinata resistenza
ai cambiamenti per poter tutelare e preservare l’organizzazione del sé (Bretherton e Munholland, 2008),
sembrano essere permeabili a possibili revisioni, nel caso in cui si verifichino esperienze relazionali
significative (Oppenheim e Goldsmith, 2007; Dozier e Rutter, 2008). Sono stati individuati tre tipi
fondamentali di MOI organizzati ed uno disorganizzato (Liotti, 1999; 2000):
1. nell’attaccamento di tipo sicuro, il MOI è caratterizzato da risposte costantemente accettanti e atte al
conforto e alla protezione di cui il bambino necessita;
2. nell’attaccamento di tipo insicuro- evitante, il MOI è costituito dalla memoria di risposte del caregiver
che incoraggiano l’autosufficienza del bambino e è caratterizzato dalle continue richieste di non
manifestare alcun tipo di scoraggiamento emotivo (ad esempio il pianto). La rappresentazione di sè-con-
l’altro viene percepita come negativa, priva di valore ed inadeguata, fastidiosa e rifiutata dall’altro
significativo;
3. nell’attaccamento insicuro- ambivalente, il MOI si qualifica per l’ambiguità delle risposte esperite dalla
figura di attaccamento: talvolta le risposte possono essere di accudimento e conforto e talvolta di
evitamento e rifiuto. Il sé del bambino si orienta dunque come incerto ed insicuro rispetto al valore delle
proprie emozioni;
4. nell’attaccamento disorganizzato, il MOI può essere costituito da diverse ed incompatibili
rappresentazioni di sé-con-l’altro, esperibili simultaneamente sulla base delle molteplici e diverse risposte
da parte del caregiver: – risposte di accudimento che suggeriscono al bambino il possibile senso di
protezione da parte della figura di attaccamento –caregiver salvatore; – risposte spaventanti manifestate attraverso paura e/o collera che intimoriscono il minore –sé vittima, caregiver persecutore; – risposte
spaventate che sviluppano nel bambino la rappresentazione di sé come capace di indurre paura nel
caregiver –sé persecutore, caregiver vittima; – risposte di ricerca di aiuto e conforto, che fanno nascere nel
bambino l’idea di poter essere in grado di confortare e supportare il caregiver -role reverse.

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