Essere comunità: l’evoluzione del sentirsi parte

L’etimologia dal latino commùnitas ‘società, partecipazione’, derivato di commùnis ‘che compie
il suo incarico insieme’, derivato di munus ‘obbligo’, ma anche ‘dono’, col prefisso cum-.
Il latino communis genera una quantità di termini fondamentali, dal comune al comunicare, ma il suo
significato originario è munus (l’obbligo, la funzione): il communis, nei suoi minimi termini descrive il
carattere di chi o ciò che svolge il suo incarico in una situazione condivisa, insieme agli altri, con gli
altri. La comunità è dunque intesa come rapporto di comunanza, partecipazione e gruppo insieme,
condivisione di un onere, in senso ambiguo: perché il munus è l’obbligo ma anche (e secondo alcuni è il
significato più antico) il dono, il favore, l’offerta in voto.
Il termine comunità appartiene al linguaggio corrente ma anche al linguaggio di molte discipline: con
significati tecnici di difficile definizione è usato principalmente in antropologia e sociologia, ma anche
in filosofia, nel diritto e nelle scienze politiche. Nelle scienze sociali il termine è usato in due significati:
nella sociologia classica serve a definire un tipo particolare di relazioni sociali alla base di collettività
che coinvolgono l’individuo nella sua totalità: evoca le piccole comunità di villaggio, ma anche la
comunità nazionale, comprende la famiglia ma anche qualsiasi unità sociale in condizioni di alta
integrazione. Nella sociologia contemporanea, invece, comunità è in genere sinonimo di comunità
locale.
Il concetto di comunità è quasi sempre in stretta connessione con quello di società. Il sociologo
tedesco Ferdinand Tönnies ha introdotto l’importante distinzione tra la comunità, come forma di
organizzazione sociale prodotta da una volontà essenziale, e la società, come forma di organizzazione
che, al contrario, è prodotta da una volontà arbitraria, che pone convenzioni, contratti, istituzioni. Da
termini apparentemente inconciliabili tra loro, però, comunità e società vengono concepiti come
tipologie, astrazioni, “concetti normali”, compresenti ed interconnessi a livello empirico. Durkheim ad
esempio, parla più di coscienza collettiva e distingue due realtà basate su tipi di solidarietà, quella
meccanica, propria di organizzazioni semplici ed arcaiche, e quella organica, propria della moderna
società fondata sulla divisione del lavoro. Altro studioso importante per l’evoluzione del concetto è
Weber, che pone in primo piano la relazione, che può essere razionale rispetto allo scopo o al valore,
oppure tradizionale e affettiva, avvicinandosi, in quest’ultimo caso, al tipo comunitario.
Nella comunità attuale (virtuale o reale) i requisiti della convivenza e della prossimità tipici della comunità
classicamente intesa, non sono più necessari. Prevale l’aspetto comunicativo e la creazione di un ambito
comune di interessi e/o finalità, su cui costruire un rapporto di natura temporanea, libero dai vincoli
imposti dalla comunità. Subentra allora lo stravolgimento dell’idea di comunità e la sua sostituzione con
nuovi e inediti parametri di contiguità, che prescindono dai cosiddetti «legami forti». Il tipo
di communitas che emerge nelle società liquide del nostro tempo ha ben poco a che fare con la concezione
tradizionale di questa idea.
Dunque è vero che comunità e società convivono: forse è più vero oggi, ma con modalità diverse, che
risentono del profondo mutamento sociale portato con sé dalle nuove tecnologie. La comunità non è il
luogo di appartenenza, dove si è nati e ci si è formati e dove tornare per ritrovare sé stessi. Quella forma
di communitas è obsoleta: la comunità si sgancia dalla sua relazione fisica e si configura

nell’appartenenza a un’idea di sé all’interno di una cultura, di un insieme di tradizioni, di un «modus
vivendi» che è la somma di ciò che si è stati, si è e si sarà. Ognuno ha un’idea di sé in rapporto al
mondo, che non si perde con il cambiamento né spostarsi altrove o attraversando le frontiere, ma è
divenuta «portatile», trasferibile da un luogo all’altro, perché ovunque è in grado di riconoscersi e di
essere riconosciuta nell’estrema varietà, cioè nella convivenza tra gruppi, culture, etnie e modi diversi
di esistere che formano la nuova società in perenne trasformazione.
Si può intendere lo sviluppo di comunità sia come filosofia sia come strategia. Lo sviluppo di comunità
come filosofia comprende un insieme di principi ispiratori, dei criteri di orientamento e di scelta.
Mentre come strategia indica un insieme di azioni finalizzzate ad uno scopo preciso e con un soggetto
definito comunità. Possiamo parlare di sviluppo di comunità quando è la comunità stessa ad essere
assunta come soggetto. Ed è possibile far leva sulle risorse, favorire la crescita, l’autonomia, la
responsabilità e lo sviluppo di competenze, cioè l’empowerment di individui, famiglie o gruppi.
Fare sviluppo di comunità significa cambiare prospettiva: ogni soggetto è chiamato ad uscire da una
logica di azione particolaristica, per proporsi come soggetto capace di mettere in moto la società
creando nuove forme di cooperazione

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